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Sapienza 6,12-16; Salmo 62 (63); 1Tessalonicési 4,13-18; Matteo 25,1-13
Festeggiare o fornire servizi?
La persona umana ha sempre attribuito agli avvenimenti principali della vita un carattere di festa attraverso il quale spezza il grigiore abituale ed intravvede le dimensioni reali della vita.
‘Chi’ o ‘Che cosa’ siamo? La domanda aiuta a prendere coscienza del perché dell’esistenza. Il Vangelo dona una risposta di ‘festa’ alla vita: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade; e uscirono incontro allo sposo». Noi festeggiamo la nostra esistenza. Festeggiare la vita sia l’esigenza e la bella attesa.Affannati per il ‘dover fare’, osservare leggi, riti, abitudini che chiamiamo ‘tradizioni’, non curiamo l’essenziale domanda ‘Chi sono io? Quale vita mi aspetta o ho interesse a costruire?’.
Il Vangelo continua a chiarire: cinque ragazze, «sagge, presero l’olio per le lampade »; cinque, «stolte, non presero con sé l’olio». Io, sono stolto o saggio?
Cosa cercano le stolte? Non ‘chi sono io’, ma ‘cosa debbo fare’ per chi festeggia. Sono altri che festeggiano. Sono io che fornisco il lavoro per la festa. La festa non sono io. La festa non è mia. Come è poca cosa insegnare il ‘come si fa’.
Siamo «piccoli vasi»: è vero! Ma bello e necessario è esser pieni, non grandi. Come sono vuoti coloro che forniscono un servizio per averne un compenso! Ci si preoccupi se siamo ‘vuoti’. Il compenso terminerà presto e saranno – saremo – costretti a chiedere: «Dateci un po’ del vostro olio». E per quale motivo? Perché «le nostre lampade si spengono». Risposta previdente e secca: «No».
Le sagge possiedono il gusto ed il valore gioioso dell’attesa e, per l’attesa, prendono altro olio. Non è l’attesa che muove le stolte. A loro è sufficiente esser lì all’ultimo istante! Non giungere mezz’ora prima. Ci sarà chi canta, chi suona, chi serve.
Quale significato cerco per la mia esistenza? Sono festoso o festaiolo? Il festaiolo rimarrà sorpreso dall’inaspettato della storia: «Ecco lo sposo! Andategli incontro!». Chi è in attesa, è pronto. Entra. Altri, fuori a bussare: «Signore, signore, aprici!». Perché vi debbo aprire? Avete bisogno di mangiare? Non è questo il posto! Qui si viene per festeggiare, non per scroccare una cena: «In verità io vi dico: non vi conosco». Da convertire sono i criteri di vita del mondo. Creati per la vita, la morte sconvolge. Con la presunzione di poter fare a meno di Dio, crolla l’esistenza.
«Vegliate, perché non sapete né il giorno né l’ora». Troppo severo il Vangelo? È duro vivere in un mondo divenuto terra di servizi. Non c’è più chi lavora e produce. Si ha bisogno di stipendio e pensione. Vado in chiesa all’ora giusta. Il prete fa. Sto lì, vicino alla porta: ultimo ad entrare, primo ad uscire. Quanto la fa lunga!
Il lavoro non è più mezzo di realizzazione della persona: è strumento per il denaro ed il possesso.
Come posso inserirmi, da credente, in un mondo dal quale non posso esser fuori? «Non siate tristi come gli altri che non hanno speranza».
La capacità di attesa è «sapienza che è splendida e non sfiorisce; facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano». Il cristiano fedele è alla ricerca della Sapienza che «nel farsi conoscere previene coloro che la desiderano. Lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei».
«Confortatevi a vicenda con queste parole»: ecco il nostro ‘mestiere’ cristiano. Non siamo chiamati per cantare, danzare, fornire uno spettacolo ed esimerne altri. Siamo i chiamati all’ansia gioiosa dell’attesa della festa: ognuno riceve presenza di festa abbondante nel conoscere i volti dello sposo e della sposa risplendenti di entusiasmo glorioso.
«Se crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti; così per sempre saremo con il Signore». Abbiamo mai detto ai figli: “Su, sta contento! Domani è domenica e tutti insieme andiamo all’incontro con Gesù?”.