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S. Maria del Riposo

S. Maria del Riposo - Tuscania

S. Maria del Riposo – Tuscania

La chiesa fu edificata nel ‘200. Il complesso, comprendente la chiesa e il convento, sorge fuori le mura di Tuscania; il suo aspetto attuale è dovuto alla ricostruzione del 1495, quando era occupato

dai padri carmelitani, sui resti di una precedente chiesa benedettina e rimaneggiato più volte nel corso dei secoli, in particolar modo n…el ‘700.
La chiesa presenta una facciata sostenuta da tre contrafforti, con portale cinquecentesco in nenfro (una varietà di tufo) sormontato da una lunetta.

L’interno è a tre navate divise da colonne e conserva opere cinquecentesche, tra le quali un dipinto di Girolamo Siciolante raffigurante la Presentazione al Tempio, tre pale d’altare di Giovan Battista Volponi da Pistoia, detto Scalabrino.

S. Maria del Riposo - Tuscania

S. Maria del Riposo – Tuscania

La maggior parte delle opere è stata danneggiata durante il terremoto che ha colpito Tuscania nel 1971. Accanto alla chiesa sorge il convento, risalente nella sua forma attuale al XVI secolo, che presenta un chiostro riccamente decorato da 48 lunette con affreschi seicenteschi che illustrano storie di San Francesco d’Assisi.

I frati che si trovavano a Tuscania, nel 1457, per alcuni contrasti che si erano creati in seno all’Ordine, se ne andarono dal paese. Ma i tuscanesi, che li avevano sempre amati con sincerità, con insistenza chiesero loro che ritornassero con la promessa di offrire loro un’altra chiesa e un altro convento.

E nell’anno 1514 il papa Leone X con il suo breve Nuper communitas concesse ai frati la chiesa e il convento di Santa Maria del Riposo, due anni prima abbandonata dai carmelitani. I frati però non vi dimorarono più di 64 anni, perché furono costretti ad abbandonare il convento perché in decadenza e anche perché l’aria non era buona e continuamente giacevano infermi. Nel 1579, il 26 gennaio, comunicarono al Comune la decisione e partirono dalla città. Il 19 febbraio, però, dello stesso anno, la chiesa e il convento fu presa in possesso dai frati agostiniani.

S. Maria del Riposo - Tuscania

S. Maria del Riposo – Tuscania

Ma anche costoro non poterono dimorarvi a lungo e se ne partirono il 1° giugno del 1599. I tuscanesi addolorati nel veder abbandonata la chiesa del Riposo tornarono di nuovo a scongiurare caldamente i religiosi di ritornare e promisero loro di restaurare il convento, di sostenerli con ab- bondanti elemosine e di sovvenire a tutte le loro necessità.

E il 14 agosto 1599 i frati francescani accettarono di nuovo di tornare nel convento.

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Basilica di S. Maria Maggiore

Basilica di S Maria Maggiore parrocchia Tuscania

Basilica di S. Maria maggiore Tuscania

La Chiesa di Santa Maria Maggiore a Tuscania sorge all’ingresso del centro storico, alle pendici del colle di San Pietro che ospita, sulla sua cima, anche l’omonima basilica. Nominata per la prima volta nell’852 in una bolla di papa Leone IV al vescovo di Tuscania, Urbano (si ha notizia di un vescovo a Tuscania già dal 595, quando un tale Virbono compare nell’elenco dei partecipanti ad un concilio), fu consacrata il 6 ottobre 1206. Il complesso monumentale è formato dall’edificio chiesastico e dalla Torre campanaria.

Il critico Pietro Toesca all’inizio dello scorso secolo ha visto in Tuscania, e quindi anche in Santa Maria Maggiore, un centro artistico sensibile alla ricezione di messaggi diversi, anche piuttosto aggiornati, che avrebbero fatto della cittadina laziale un polo capace di anticipare quel linguaggio che si sarebbe affermato successivamente nella vicina Roma. Secondo Toesca Santa Maria Maggiore sarebbe stata costruita in due riprese verso la fine del XII secolo; Karl Noehles pensa che sia invece antecedente a San Pietro, mentre la Raspi Serra pensa a una collocazione fra la fine dell’XI e il principio del XII secolo.

Quale che sia la verità, la lettura di Santa Maria Maggiore è resa ancora più difficile dai tanti avvenimenti storici che ne hanno segnato la lunga vicenda. Si prendano ad esempio le decorazioni della facciata che mostrano una varietà di derivazioni e una molteplicità di interventi, forse causati dei numerosi terremoti che hanno colpito questa zona, rivelandola disordinata ed asimmetrica, probabile assemblaggio di pezzi rimontati e riadattati al bisogno come fa supporre la singolare postura della Madonna nella lunetta del portale di accesso: i suoi piedi pendono sull’architrave suggerendo che questo pezzo è stato ricollocato in una posizione che non gli risulta consona.

Staccata dalla Chiesa, si erge la poderosa, seppur mozza, torre campanaria, di cui restano l’alto basamento e due ordini di finestre separati da lesene e file di archetti ciechi. La sua costruzione dovrebbe risalire al XII secolo anche se alcune sue caratteristiche (come la struttura della base, la sproporzione del corpo rispetto all’edificio chiesastico e la collocazione in fronte della facciata) farebbero piuttosto pensare ad una sua precedente fondazione.

La facciata, che è stata oggetto di un delicato intervento di pulitura e consolidamento da parte di questa Soprintendenza nel 2006, riecheggiante motivi umbri, è quasi simile a quella di San Pietro, ricchissima di decorazioni e con coronamento orizzontale. Dei tre portali (il sinistro, a causa dello scoscendimento del terreno, ha l’arco assai più basso degli altri) soprattutto notevole quello centrale, di marmo bianco, dalla profonda strombatura, fiancheggiato da due colonne scanalate a tortiglione rette da leoni e sormontate da altre figure bestiarie, riallacciantisi a motivi decorativi abruzzesi della metà del sec. XIII; nei ricchi stipiti, a bassorilievo, i SS. Pietro e Paolo (quest’ultimo, mancante della testa, vandalicamente asportata nel 1967 e poi reintegrata); nella lunetta, bassorilievo della Madonna col bambino in trono, fiancheggiata a destra dall’Agnello Mistico e a sinistra dal Sacrificio di Abramo. I due portali laterali sono scolpiti in pietra di nenfro con figurazioni simboliche e vegetali. Come in S. Pietro, nella parte superiore si sviluppa, tra un leone e un grifo, la loggia con le sue nove colonne e dieci archetti. Infine, il ricco rosone con due ordini di dodici colonne ai cui angoli si trovano quattro sculture che richiamano gli Evangelisti (Aquila, Angelo, Leone e Vitello a rappresentare rispettivamente Giovanni, Matteo, Marco e Luca). L’abside semicircolare è percorsa da lesene e da fasce di archetti.

L’interno, a pianta basilicale con tetto a capriate, è a tre navate divise da sei campate. Vi si trovano colonne e pilastri affrescati, capitelli romanici scolpiti per arconi a tutto sesto ornati nel sott’arco da fiori stilizzati a quattro petali, sopra una cornice in pietra su mensole con motivi architettonici e zoomorfi.
Il presbiterio, sopraelevato rispetto all’aula, è fiancheggiato da due arcate trasversali; il paliotto dell’altare, sormontato da un ciborio in forme gotiche primitive con vele interne affrescate e rozza sedia vescovile, è costituito da un pluteo dell’VIII-IX secolo. Nella navata destra è collocato un fonte battesimale ad immersione di forma ottagonale risalente al XIII secolo. Nella navata centrale, su quattro robuste colonne, si ammira un prezioso pergamo del Duecento, ricomposto con frammenti di marmi decorati a bassorilievo dei sec. VIII, IX, e XII. Sui lati esterni del pulpito sono visibili delle raffinate decorazioni ad affresco imitanti motivi a bassorilievo.

La piccola abside, appena visibile dall’aula chiesastica dietro il baldacchino dell’altare, è impreziosita da un affresco duecentesco di scuola romana con influssi bizantini raffigurante i Dodici Apostoli; nel presbiterio, sulla parete sovrastante il grande arco della parete presbiteriale, è dipinto un grande affresco del ‘300, sul quale è rappresentato il Giudizio Universale; tra le figure schierate ai lati del grande Cristo Pantocrator centrale è presente anche il ritratto del committente Secondiano; piuttosto ben conservato, è attribuito a Gregorio e Donato D’Arezzo. Sia gli affreschi dell’abside che quelli della parete presbiteriale sono stati restaurati tra il 2003 ed il 2004 a cura della Soprintendenza.

Nella parete del transetto in corrispondenza delle navate laterali, sono presenti affreschi in posto databili tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII, di sapore tipicamente rinascimentale; la porzione di affresco che in origine era collocata sopra la nicchia a sinistra nel transetto è stata, in seguito al terremoto del 1971, staccata dal supporto murario e riportata su una grande tela, attualmente collocata sempre nel transetto, lungo la parete destra.

Nel transetto sinistro, oramai ridotti a lacerti, sono individuabili le figure, databili ancora al XIV secolo, del S. Giorgio e il drago e, nelle vicinanze, una delicata Madonna in trono con Bambino che echeggia esempi coevi di scuola umbra. Molti altri frammenti di decorazione sono visibili lungo le pareti perimetrali delle navate laterali e sulle colonne della navata centrale, nonché sulla parete retrostante la facciata.
La Chiesa è di proprietà demaniale ed è in consegna alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le Province di Roma, Rieti e Viterbo. L’Ufficio ha la responsabilità di condurre i restauri e le manutenzioni e di rendere fruibile il monumento. All’interno della Chiesa si svolgono manifestazioni musicali, sotto il patrocinio della Soprintendenza ed in accordo con gli Enti e le associazioni culturali locali, soprattutto nel periodo estivo.

Attualmente la Chiesa è sottoposta ad interventi di carattere strutturale e manutentivo; tuttavia, è possibile effettuare la visita anche se in modo parziale.

 

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Chiesa di S. Giuseppe

Chiesa di S. Giuseppe Tuscania

Chiesa di S. Giuseppe Tuscania

Posta nel cuore del centro storico del borgo di Tuscania, la chiesa di San Giuseppe si erge in capo a uno slargo – piazzale Cavour – aperto tra la strada provinciale SP12 e via dei Campanari. Orientata secondo l’asse che va da sud-est a nord-ovest, questa fabbrica di impianto prettamente controriformista – ossia una monoaula con cappelle laterali poco profonde fra loro comunicanti – presenta all’esterno una facciata a edicola su due livelli, scandita in modo sintetico da una doppia intelaiatura di fasce con scarsissimo rilievo rispetto al fondo. Volute laterali raccordano i due livelli e altre analoghe volute risolvono il timpano che conclude il prospetto. Al centro del piano della strada – rialzato di dieci gradini – si trova il portale lapideo il quale, segnalato da un timpano semicircolare e fiancheggiato da due nicchie tamponate, occupa il principale dei settori definiti dalle fasce verticali. Sopra, un rosone ottagonale affiancato da due nicchie con conchiglia – quest’ultime corrispondenti alle rispettive sottostanti – definiscono un impaginato maggiormente plastico. All’interno, invece, prende corpo una strutturazione più lineare che, scandita da una serie di semicolonne doriche lisce poste a sostegno della trabeazione poco sporgente, lascia sviluppare fra un sostegno e l’altro quattro piccole cappelle passanti, dotate però solo sul fianco destro (nord-est) di altare (ad eccezione dell’ultima procedendo in avanti). In fondo, sollevato di due gradini rispetto al piano di calpestio, si colloca il presbiterio con coro a terminazione piana: uno spazio di ridotta dimensione rispetto all’aula, concluso dall’altare maggiore e riccamente decorato lateralmente con affreschi parzialmente scomparsi sulle pareti. Qui, inoltre, si aprono due porte: una sulla destra (nord-est) che immette direttamente nella sagrestia; l’altra – sulla sinistra (sud-ovest) – che porta altresì al campanile: una torre quadrata ad un unico livello con cupolino. Quanto alle coperture, sia la sala liturgica sia il coro appaiono risolti per mezzo di una volta a botte la quale, lunettata, garantisce una sufficiente illuminazione diffusa nonostante il limitato numero di due sole finestre per parte.
Notizie Storiche
1637 (raccolta fondi carattere generale)
Sin dal 1637, la confraternita di San Giuseppe ottiene dal vescovo il permesso di raccogliere le offerte dei fedeli nella chiesa di San Lorenzo, dove la compagnia mantiene una cappella e un altare, per destinarle alla realizzazione di una nuova chiesa; sulla cassetta delle offerte viene affissa la scritta “Elemosina per la fabbrica di San Giuseppe”.
1654/05/07 (posa della prima pietra intero bene)
La prima pietra della fabbrica della chiesa, posta in contrada Strada Maestra e inclusa nel territorio soggetto alla giurisdizione della cattedrale di San Giacomo, viene posta il 7 marzo 1654 con la benedizione del canonico Vittorio Consortini alla presenza di tutto il clero, del magistrato e del popolo.
1659 – 1661 (donazioni costruzione chiesa intero bene)
I fratelli Veriano e Gabriele Bassi lasciano per testamento 100 scudi per l’acquisto di una casa da demolire, il cui materiale edilizio deve essere riutilizzato nella fabbrica di San Giuseppe; Sebastiano Mansanti con testamento dell’11 agosto 1661 lascia 500 scudi per finanziare il proseguimento del cantiere della chiesa.
1669 (lavori di costruzione in corso intero bene)
Al tempo della visita pastorale del vescovo Francesco Maria Brancaccio, la chiesa non è ancora ultimata e possiede un solo altare.
XVIII (completamento chiesa intero bene)
Nei primi anni del XVIII la chiesa è completata ed è coperta da un tetto a vista sorretto da travature lignee; sono realizzate le cappelle laterali dell’aula, con gli altari sopraelevati di due gradini, e, sul lato destro del presbiterio, la sacrestia con accesso esterno dal vicolo laterale. Il campanile è dotato di campane. In facciata è costruito con il contributo di Secondiano Marciliani il portale d’ingresso, sul quale viene posta un’iscrizione con il nome dell’oblatore, mentre nella parte superiore vengono realizzate la finestra ottagonale e le nicchie destinate ad accogliere delle statue (quest’ultime non verranno eseguite).
1708/05/11 (visita pastorale intero bene)
La chiesa viene visitata dal vescovo Andrea Santacroce che trova la sistemazione interna molto decorosa. Sull’altare maggiore, dedicato a San Giuseppe, è posto il quadro avente come soggetto il Transito del Santo. Sul lato destro dell’aula sono realizzati gli altari di San Francesco di Paola e di San Francesco Saverio ornati con quadri che rappresentano gli stessi Santi. L’altare di San Francesco Saverio è stato realizzato a spese di alcuni padri Gesuiti per le riunioni della congregazione degli Artisti da loro istituita a Tuscania; lo stesso altare è utilizzato dalla compagnia delle Donne che si propone di incrementare la vita religiosa tra i fedeli.
1720/01/16 (visita pastorale intero bene)
Dalla visita pastorale del vescovo Adriano Sermattei si rileva che è stato consacrato l’altare di Sant’Antonio da Padova e che sulla parete sinistra dell’altare di San Francesco di Paola è stata murata una lastra marmorea raffigurante il Santo con dedica e stemma gentilizio del canonico Bartolomeo Bonsignori.
1744/04/24 (visita pastorale intero bene)
Nella relazione della visita pastorale del vescovo Alessandro degli Abati Olivieri vengono elencati gli altari del Suffragio, di San Nicola di Bari, del Crocifisso e della Madonna del Terremoto.
1786 (descrizione intero bene)
Nella descrizione della chiesa fatta dalla confraternita in preparazione alla visita pastorale del 1786 si afferma che davanti all’altare maggiore vi è una balaustrata in legno, sul lato sinistro dell’aula è in funzione un altare detto “dello stendardo”, dove è stabilmente issato il vessillo per le processioni “di tela dipinto a sugo d’erba”, e in controfacciata è realizzata la cantoria in legno fornita di organo.
1846/05/16 (consacrazione intero bene)
La chiesa viene consacrata dal vescovo Bernardo Pianetti. I particolari dell’avvenimento vengono descritti in una lapide posta a destra della porta d’ingresso. L’iscrizione in lingua latina ricorda che il tempio dedicato a San Giuseppe è stato ridotto a forma più elegante e si fa riferimento all’indulgenza di cento giorni concessa nel giorno anniversario della consacrazione.
1880 – 1883 (visita pastorale e restauro intero bene)
Entro il 1881 si realizzano le coperture voltate dell’aula e del presbiterio; ciò si desume dalla visita pastorale di quell’anno, nel cui resoconto si descrivono anche l’altare dei Santi Martiri (primo a sinistra in prossimità del coro ornato con una tela già adoperata come stendardo con la raffigurazione dei Santi Secondiano, Marcelliano e Veriano) e quello della Madonna del Cerro (non si tratta di un nuovo altare, ma di quello dedicato a San Francesco Saverio dove era stato collocato un piccolo quadro con l’immagine mariana). Si acquistano un lampadario ornato con 130 gocce di cristallo e due lampadari con borchie, pietre di cristallo, fogliame di latta e guarnizioni di ottone. Nel 1882 viene ricostruito il tetto della sacrestia dopo i danni causati dal crollo di un’abitazione attigua e nel 1833 vengono spese 250 lire per eseguire lavori di restauro.
1908 – 1910 (soppressione confraternita carattere generale)
Con decreto reale del 23 gennaio 1908 il patrimonio della confraternita di San Giuseppe e delle altre confraternite di Tuscania passano all’ospedale di Santa Croce diretto dalla congregazione di Carità, istituita per amministrare la pubblica beneficienza con i beni sottratti alle confraternite. Il 18 luglio 1910 viene redatto il verbale della presa di possesso dei beni della confraternita.
1916/06/20 (descrizione intero bene)
Il parroco Bruno Luchetti predispone la relazione descrittiva della chiesa in vista della visita pastorale del vescovo. Il quadro raffigurante il Transito di San Giuseppe dell’altare maggiore è ornato con lo stemma gentilizio dei Consalvi e la tela della Madonna del Terremoto è opera del pittore Antonio Arieti. Il secondo altare sinistro è dedicato alla Madonna della Cintura e le sedie dell’aula sono tutte di proprietà privata. In sacrestia si conservano i ritratti di due insigni confratelli della compagnia di San Giuseppe, il cardinale Ercole Consalvi e il cardinale Fabrizio Turriozzi.
1971 – 1981 (danneggiamento e restauro intero bene)
Dopo il terremoto del 1971 la chiesa viene restaurata.
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Pianta
La chiesa si presenta impostata su una pianta longitudinale monoaula dotata di quattro cappelle laterali passanti per parte. In fondo alla sala, una riduzione della dimensione della stessa e un rialzamento di due gradini segnalano l’inizio dell’area presbiteriale: uno spazio rettangolare concluso sul fondo da un altare a muro. Lateralmente, sulla destra (nord-est), una porta immette direttamente nella sagrestia; dall’altro lato (sud-ovest) – invece – si accede direttamente al campanile: una torre quadrata.
Impianto strutturale
Strutturalmente, la sala liturgica si presenta impostata su un sistema di murature continue perimetrali, interamente intonacate, sopra cui si appoggia una volta a botte lunettata, replicata – senza però le forature – nel presbiterio. Quattro contrafforti esterni, posizionati in corrispondenza della partizione interna, garantiscono la stabilità dell’edificio, a cui collabora anche il campanile nell’angolo sud-ovest.
Coperture
All’esterno, la chiesa appare coperta da un tetto spiovente a due falde. La copertura è uniforme per tutta la lunghezza dell’edificio e il manto è in coppi. All’interno, si osserva nella sala una copertura a volta a botte lunettata per mezzo di due forature per lato. La stessa soluzione – priva però di finestre – si ritrova anche nel presbiterio.
Pavimenti e pavimentazioni
L’aula della chiesa e i suoi relativi spazi accessori sono tutti pavimentati per mezzo di lastre di marmo rettangolari di colore rosato, tessute in senso orizzontale; i gradini si presentano invece in peperino.
Elementi decorativi
La chiesa possiede alcuni elementi di pregio fra cui spiccano due acquasantiere in pietra (XVII secolo, controfacciata), un tabernacolo in legno dipinto (1717, nel presbiterio presso l’altare maggiore) posto nell’altare maggiore (XVIII secolo, presbiterio) e tre quadri raffiguranti rispettivamente il “Transito di San Giuseppe” (XVII secolo, nel presbiterio presso l’altare maggiore), un “San Francesco di Paola” (XVIII secolo, nella navata destra presso la seconda cappella) e una “Madonna in gloria con Gesù Bambino e santi” (XVIII secolo, nella navata sinistra presso la seconda cappella).
Adeguamento liturgico
presbiterio – aggiunta arredo (1971)
Si è provveduto a una ristrutturazione generale dello spazio liturgico tenendo presente le nuove indicazioni. In particolare, si è proceduto a realizzare un altare isolato in legno al centro del presbiterio rivolto verso l’aula antistante. Dietro, invece, sono state collocate alcune sedie per il celebrante ed eventuali ministranti, anch’esse in legno.

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Chiesa Cattedrale di S. Giacomo

La storia della Chiesa di S. Giacomo

Nella elezione del quartiere di Poggio a luogo dell’aristocrazia tuscanese del sec. XVI, non poteva mancare una chiesa ad esaudirne le istanze religiose. Così la vecchia chiesa San Giacomo, piccola e vecchia, fu negli anni tra il 1566 e il 1572 completamente rifatta per volere del nuovo vescovo Giovan Francesco de Gambara. Nel 1572 ospitò il Capitolo; più tardi, nel 1588 anche il Vescovato fino al 1653 e da allora fu cattedrale. Non sappiamo bene come il nuovo duomo era all’interno, ma sappiamo come era la facciata, unica superstite degli energici restauri dei primi del ‘700 che la vollero ancora più bella e barocca. Nel secolo dei Lumi gli fecero il campanile e la cupola, la stuccarono, la indorarono e la arricchirono di suppellettili. Solo la facciata rimase sobria di un’estetica quasi rinascimentale che, pur annunciando nelle terminazioni e nei portali le curvosità successive, richiama nel chiaroscuro tra lesene, cornici e parete la moda delle forme geometriche toscane. Il finestrone e i tre portali rimandano ad una annunciata grandiosità interna, realizzata però solo nello sfarzo, oggi velato dal candore bianco dei recenti restauri. Sotto le pesanti navate interne rimangono molti dei tesori della chiesa. A sinistra, oltre l’ingresso alla sacrestia coi dipinti dei vescovi di Tuscania, si trova un pregevole tabernacolo sacramentale in marmo bianco di Isaia da Pisa, della metà del XV secolo; venne portato qui dalla antica abbazia di San Giusto a conservare gli oli santi.

Nella navata a destra su una parete sono murate sei formelle di marmo con figure di santi scolpite a rilievo entro nicchie e placcate in oro. Opere di alta qualità eseguite anch’esse nella seconda metà del XV secolo da Isaia da Pisa. Provengono, come il tabernacolo, da San Giusto. I santi sono San Vito, Santa Monica, San Girolamo, Sant’Agostino, San Gregorio Magno e San Leonardo. I marmi dovevano far parte di un grande dossale d’altare.

Nella cappella della stessa navata sono conservati dipinti su tavola e tela di diversa provenienza ed età. In particolare un bel polittico, di scuola senese del XIV secolo di Andrea di Bartolo, proveniente dalla chiesa di San Francesco sul quale sono raffigurati: al centro una Madonna con Bambino ai cui piedi è messere Loccio Toscanese (committente dell’opera) a sinistra San Francesco e San Pietro; a destra San Paolo e San Luigi: in alto due busti di San Giuseppe e San Tommaso d’Aquino. Altra pregevole opera è un trittico a due facce di Francesco d’Antonio detto il Balletta, della prima metà del XV secolo, raffigurante il redentore benedicente tra la Madonna e San Giovanni Battista, l’Agnello pasquale nella cuspide e sul retro una Madonna orante tra San Giovanni Battista e Santa Cristina. L’opera ritardataria e di gusto gotico-cortese, testimonia, nonostante i contatti, quanto i canoni artistici in voga nel viterbese fossero arcaici. D’altra parte tali ed altre opere danno l’idea della vitalità di Tuscania alla fine del medioevo e dei contatti umbro-toscani che la città manteneva pur gravitando con Viterbo su Roma.

La Diocesi di Tuscania è tra le più antiche della Tuscia. A parte la tradizione locale, che fa risalire i primi vescovi tuscanesi ai tempi apostolici, la loro presenza nei sinodi e nei concili è documentata dal VI secolo in poi, quando la prima cattedrale era Santa Maria Maggiore. Per difendersi dalle incursioni saracene, intorno al secolo VIII la sede vescovile fu obbligata a trasferirsi sul vicino colle presso la chiesa di San Pietro, che divenne la nuova cattedrale.

Troppo note sono queste due antichissime chiese per spenderci sopra altre parole; basterà semplicemente averle ricordate. La crisi del XIV secolo produsse i suoi effetti negativi anche a Tuscania e la contrada Civita incominciò a spopolarsi; la cerchia muraria venne ristretta e la cattedrale di san Pietro si trovò isolata dal Centro Storico. Ancora un paio di secoli e anche il vescovo con il capitolo trasferirono la cattedrale entro la nuova cerchia muraria.

Alla fine del Quattrocento spesso fungeva da cattedrale la chiesa di Santa Maria della Rosa, finché il vescovo Card. Gianfrancesco de Gambara (1566-1576) decise di trasferire definitivamente la cattedrale presso la collegiata di San Giacomo Maggiore. Nel 1572 iniziarono i lavori di ristrutturazione, che trasformarono la chiesa romanica a tre navate in forma tardo rinascimentale e ormai barocche.

I lavori si protrassero per qualche anno e il successore, l’arcivescovo Carlo Montigli (1576-1594) la inaugurò con una semplice benedizione, il 14 gennaio 1590.
La nuova cattedrale di San Giacomo venne consacrata 32 anni dopo dal vescovo Card. Tiberio Muti (1611-1636) il I° marzo 1622.; un’epigrafe ora collocata all’inizio della navata di destra ricorda quell’evento.

Oltre all’altare maggiore dedicato a San Giacomo la chiesa presentava nella navata di destra tre altari (SS. Gerolamo e Biagio, Immacolata Concezione, Santo Crocifisso) con in fondo la cappella dei SS. Giusto e Giuliano; nella navata di sinistra tre altari (S. Michele Arcangelo, la Madonna di Loreto, Madonna della Sanità) con in fondo la cappella della Madonna Costantinopolitana.

Nel 1753, a spese del Comune, si aprì una nuova cappella nella navata di sinistra dove era la cappella della Madonna della Sanità; l’amministrazione comunale voleva quella cappella per accogliervi degnamente le ossa dei SS. Martiri protettori della città.

Nel 1783 i lavori della cappella terminarono con la realizzazione delle tre tele del pittore Nicola Bonvicini, rappresentanti l’esilio, il processo e la gloria dei tre SS. Martiri. Ma la cappella fu dedicata al SS Sacramento e le venerate ossa dovettero attendere ancora 200 anni prima di esservi trasportate nel 1983 per iniziativa privata dell’allora parroco don Domenico Zannetti.

 

 

 

 

 

 

 

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Basilica di S. Pietro

Basilica di S. Pietro TuscaniaIl Complesso monumentale è costituito da una serie di edifici che occupano attualmente quella che era stata l’antica acropoli della città etrusca. Nell’area del recinto sono collocate le due torri, l’arco, il Vescovato, la Chiesa.

Fondata nell’VIII secolo in forme tardo-romane, la chiesa è stata quasi completamente ricostruita nell’XI secolo e ancora trasformata nel XII, con il prolungamento della navata e la costruzione di una nuova facciata. Il monumento è opera di particolare rilievo artistico, storico e architettonico poiché, collocandosi, come origine, agli inizi dell’età paleocristiana, costituisce un evento decisivo per la formazione della tipologia basilicale.

Il portale maggiore, opera di marmorari romani, è articolato su diversi piani di profondità resi da tre archivolti poggianti su colonne lisce e capitelli di forma varia, in parte antropomorfi con valore simbolico; l’archivolto maggiore è decorato da tarsie marmoree e bugne con segni zodiacali e figurazione dei lavori stagionali.

L’ingresso principale è incorniciato da una lesena di marmo con decorazione a mosaico ed è sovrastato da una lunetta a motivi stellari. Una loggia ed un ricco apparato decorativo scultoreo in marmo bianco sormontano il portale stesso. La loggia, con grifoni alati ai due estremi, si articola in 11 arcatelle che poggiano su colonnine marmoree con capitelli ionici. Al di sopra della loggia si ha un ricco apparato decorativo marmoreo chiuso ai due lati da un toro e una giovenca in altorilievo ad aggetto, a sostegno di due paraste laterali e di una cornice orizzontale a mensola con foglie ricurve che funge da separazione del timpano superiore privo di decorazioni.

Al centro dell’insieme decorativo è inserito un rosone marmoreo, inscritto in un quadrato nei cui angoli sono raffigurati a rilievo i simboli di Dio centro dell’Universo. E’ costituito da tre cerchi concentrici in marmo ed è fiancheggiato da altorilievi con draghi alati che inseguono la preda; nelle parti laterali si hanno le raffigurazioni del Bene e del Male del Mondo posto a cornice di due finestre bifore con vasetti decorati a mosaico. Il Regno del Bene e della Salvezza è rappresentato dalla figura di Atlante che sostiene simbolicamente la Chiesa, raffigurata attraverso una ricca vegetazione ad intrecci floreali circolari alternativamente grandi – entro cui sono l’Agnus Dei, due Angeli e i quattro Padri della Chiesa – e piccoli – con testine allegoriche. Il Regno del Male è reso da una figura di demone a tre facce e con un serpente tra le braccia. Dalle bocche delle due facce laterali del demone si sviluppano verso l’alto rami con foglie, fiori e frutti diversi che racchiudono figure di arpie. In alto girali di vegetazione culminano entro le bocche laterali di un altro demone a tre facce.

Le parti laterali della facciata, arretrate rispetto al corpo principale, hanno due portali di accesso con ampi archivolti decorati a motivi vegetali e lunette, in cui sono scolpite un’aquila e un idra in atto di mangiare serpenti. Al di sopra di essi sono poste due protomi leonine di risulta. Motivi di semicolonne ad arcata cieche, con cornici ed archetti pensili, ritmano le parti laterali della facciata e si ripetono lungo le pareti esterne di tutto il complesso monumentale.

L’interno conserva le caratteristiche di un impianto “arcaico” a tre navate con transetto rialzato. La struttura interna si completa con un ciborio, un seggio vescovile ed una limitata serie di capitelli provenienti da età più antica. Proprio per questo motivo la radice classica si presenta come l’aspetto più importante della formazione e formulazione dell’espressività romanica. La pianta, non regolare ma trapezoidale con convergenza verso l’abside, consente una visione simultanea ed unitaria di tutta la massa spaziale.

La navata centrale è separata dalle laterali da colonne di differente fattura e pilastri con semicolonne addossate reggenti arcate a doppia ghiera dentata. Le colonne sono collegate tra loro con muretti e sedili in pietra.

L’illuminazione, affidata a strette finestre, crea notevoli effetti plastici sull’insieme degli elementi scultorei e decorativi presenti all’interno. Nella parete presbiteriale permangono le testimonianze dell’apparato scultoreo dell’originaria chiesa del secolo VIII e del IX nella balaustra del coro e nei parapetti divisori del transetto.

Le pareti erano un tempo completamente rivestite di affreschi riconducibili al mondo pittorico romano del XII secolo. Restano oggi, a seguito del terremoto del 1971, solo poche tracce di Angeli, Apostoli e Santi entro tondi, uniche testimonianze del grande affresco absidale in cui era raffigurato un Cristo ascendente, benedicente e con il globo terracqueo in mano, circondato da una doppia schiera di angeli, dagli apostoli e dai padri della Chiesa.

Sopra l’abside è rappresentato il tema dell’apocalisse. Altri dipinti coevi sono il Cristo benedicente tra due vescovi nell’absidiola di destra e il battesimo di Cristo in quella di sinistra. Nella parte alta del presbiterio sopra l’arcone di destra, sono rappresentate scene della vita di S. Pietro che rimandano allo stile dei dipinti romani di San Clemente databili alla fine dell’XI secolo.

Completa mirabilmente l’ambiente, tra i più straordinari dell’architettura romanica italiana, il pavimento musivo cosmatesco.

Dalle navate laterali, attraverso anguste scalinate si accede alla cripta, preceduta, sulla destra, da un piccolo vano, l’avancripta, organizzata come una cappellina. Questo vasto ambiente – ove nel 648 furono collocati i corpi dei martiri, santi Secondiano, Variano, Marcellano, protettori di Tuscania – ha pianta rettangolare con nove navate longitudinali ed è articolato in quaranta volte a crociera poggianti sulle ventotto colonne a capitelli marmorei di risulta provenienti da edifici romani ed alto medievali della zona. L’absidiola d’altare ha una decorazione con una madonna in trono tra Angeli, san Pietro e san Paolo.

 

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