La storia
Non possiamo dire con esattezza – perché non abbiamo documenti o scritti – quando, per la prima volta, la Vergine Addolorata fu portata in processione per le vie di Tuscania; nella prima macchina però, costruita dai fedeli per il trasporto dell’Immagine, è stata rilevata una data: 1845; questo lascia supporre che i Tuscanesi vollero, nell’anno stesso della donazione dei Nodoler, onorare pubblicamente e trionfalmente l’Addolorata.
Da allora la venerazione alla Vergine Addolorata si radicò profondamente nel popolo. Nelle case dei nobili, come in quelle dei poveri, la Sua Immagine troneggiava sovrana dalle pareti. Nel territorio tuscanese, ovunque fosse presente un nucleo familiare, ovunque era vita nelle capanne dei butteri, in quelle dei mandriani, dei pastori, nei cascinali e nei casali sparsi per la campagna, c’era l’Immagine che i Tuscanesi chiamarono, e chiamano, la loro Madonna. In ogni parte d’Italia e del mondo, ove sono famiglie Tuscanesi, con essi è la nostra Madonna, così pure in ogni campo di battaglia, ove la nostra gioventù venne chiamata a servire la Patria, la Vergine SS. Addolorata, con la sua Immagine, fu madre consolatrice e dolce compagna nell’ultimo anelito, per quanti di essi, dettero in olocausto la propria giovinezza.
Non è azzardato dire che la venerazione per l’Addolorata, così profondamente sentita, non può essere paragonata con quella di altre Immagini e supera di gran lunga quella verso i Santi Patroni della città. Città mariane si contano numerosissime in Italia per i celebri santuari dedicati alla Vergine, ma io credo che Tuscania possa, a buon diritto, essere definita la “Città mariana dell’Addolorata”. La prima “macchina” o “trono”, con la quale fu trasportata l’Immagine, come abbiamo già detto, risale al 1845. Essa era portata a spalla da 16 giovani, scelti tra i soci della confraternita della Misericordia, vestiti con lunghi camici bianchi stretti ai fianchi da un nero cordone. Il peso che ognuno portava, per oltre un chilometro, si aggirava dai 50 ai 70 chilogrammi. Portare la “macchina”, oltre che essere considerato un grande onore, per molte famiglie locali si trasformò in una vera e propria tradizione da custodire gelosamente e tramandare di padre in figlio, tanto che gli “Araldi” di oggi sono, in buona parte, i pronipoti di quelli di ieri.
Un Grazie particolare a …
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