IL CERRO (Santuario della Madonna del Cerro)
Era un’immagine della Madonna, come tante altre, un’edicola povera e disadorna, che riceveva il breve saluto dai rari viandanti intenti a percorrere la strada polverosa che da Tuscania conduce ad Arlena, Tessennano e Canino. Dal momento che l’edicola si trovava a metà percorso tra Arlena e Tuscania, erano soprattutto gli abitanti delle due cittadine a conoscerne l’esistenza, particolarmente i boscaioli ed i proprietari di bestiame che pascolava nella macchia Riserva; i documenti ufficiali, invece, ignoravano quell’edicola, almeno fino alla seconda metà del Seicento.
La storia prende l’avvio dalle vicende personali di una coppia di sposi, Cesare e Caterina, due umili tuscanesi, dei quali i registri parrocchiali non ci tramandano il cognome. Forse non l’avevano, come molte famiglie povere del Seicento; e così lui era semplicemente Cesare, figlio di Cesare, soprannominato Caterino; per quei tempi, ai fini di una ipotetica identificazione era più che sufficiente.
Francesca era malata, forse di epilessia: erano in molti a ritenere che fosse posseduta dal demonio. Aggravandosi la malattia, il povero Cesare si rivolse al Signore e pensò di portare la moglie a Tessennano, davanti all’immagine miracolosa di San Liberato per implorare la grazia della guarigione. Un mattino imprecisato dell’anno 1673, Cesare e Francesca partirono alla volta di Tessennano. Percorsi quattro chilometri, giunsero davanti all’edicola della Madonna seminascosta tra il verde dei cerri. A quel punto Francesca si bloccò e non ci fu più verso di spingerla oltre. Il marito fece di tutto per farla camminare, ma Francesca lo redarguì dicendo: “Non vedi che quell’immagine non vuole che io passi più avanti?”
Quindi Francesca cominciò ad agitarsi con strepito grandissimo tanto che Cesare fu costretto a tornare indietro. Per tutta la notte Francesca si agitò, scongiurando il marito di non condurla più presso quell’immagine della Madonna. Le insistenze ripetute della donna furono ritenute da Cesare come ispirazioni del demonio e, da buon cristiano qual era, maggiormente si infervorò a credere che Francesca con l’aiuto della beatissima Vergine potesse rimanere liberata. Per molti giorni Cesare costrinse la moglie, usando anche le maniere forti, a recarsi ai piedi di quella immagine, superando tutti gli ostacoli che il demonio interponeva con violenza e repugnanza non ordinaria.
Visto però che da solo non riusciva ad approdare a nulla il brav’uomo pensò bene di chiedere aiuto ai sacerdoti di Tuscania. Il primicerio don Carlo Carli, l’arciprete don Giuseppe Eutizi, don Attilio Pescetti, don Paolo Ciotti, don Santuccio Fioravanti e altri accompagnarono i due sposi davanti all’edicola della Madonna. Finalmente la fede prevalse e Francesca per intercessione della gloriosa Regina dei Cieli restò libera dai maligni spiriti che la invadevano. La parola miracolo rimbalzò di bocca in bocca e da Tuscania si diffuse rapidamente nei centri limitrofi così che accorsero i popoli in tanto numero a venerare quella sacra immagine da più parti. Il problema logistico si rivelò subito impellente. Molti pellegrini trascorrevano almeno una notte presso l’edicola, per cui fu necessario fabbricare ricoveri di legno, ove Iddio a preghiere della sua Gran Madre in questo luogo invocata dispensava con larga mano le sue grazie divine, liberando dal demonio i corpi ossessi, raddrizzando struppi e risanando quelli che da diverse infermità corporali venivano travagliati.
Alle grazie compiute dalla Madonna facevano seguito numerosi ex voto ed offerte in denaro che in poco tempo bastarono a finanziare la costruzione della chiesa e ad ornare l’altar maggiore ove resta detta sacra immagine di varie figure e lavori d’intaglio dorato, con sagrestia arricchita di sagre suppellettili a sufficienza, ma anche per la fabbrica di un ospizio unito alla chiesa e di una non piccola abitazione poco lungi da essa con le sue officine assai comode, anche per ospitare i pellegrini. La festività della Madonna del Cerro venne fissata all’ultima domenica di aprile, per ricordare il primo miracolo avvenuto il sabato che precede quella domenica. Dato che le offerte dei fedeli erano in continuo aumento si sentì la necessità di nominare un responsabile ed il vescovo Stefano Brancaccio nominò come custode del nuovo santuario proprio Francesca, la prima miracolata che seppe rivelarsi all’altezza del delicato compito anche con l’apporto del marito Cesare.
Nell’espletamento delle sue mansioni Francesca offrì al Comune di Tuscania il prestito di 1000 scudi, dietro il pagamento di un modico interesse. Inizialmente gli amministratori non presero sul serio l’offerta, ma, occorrendo denaro, nella seduta consiliare del 28 marzo 1678 il Gonfaloniere Gianfrancesco Giannotti portò la proposta all’attenzione dei consiglieri comunali che la deliberarono senza problemi. L’anno successivo, il 24 febbraio 1679, morì Cesare presso la casetta del Cerro e venne sepolto a Tuscania nella chiesa di San Francesco. La moglie affrontò serenamente la perdita e continuò la sua opera instancabile per altri due anni. Ottenne dalla Madonna la grazia di morire nella casetta contigua alla chiesa del Cerro: era sabato, 26 aprile 1681. L’indomani, ultima domenica di aprile, sarebbe giunta una folla numerosa per la festa della Madonna del Cerro per partecipare alle esequie di Francesca.
Il suo corpo fu tumulato accanto a quello di Cesare, in San Francesco. Nell’atto di morte il sacerdote ha annotato la sua lunga opera svolta presso il santuario. L’accorrere di numerosi pellegrini promosse l’istituzione, da parte del Comune, di una fiera di merci e bestiame. La processione religiosa si snodava dalla cattedrale di San Giacomo fino al Cerro, dove il primicerio del capitolo celebrava la santa messa cantata; quindi tutta la gente intervenuta usciva all’aria aperta e si adagiava sull’erba per mangiare le provviste che ciascuno s’era portato.
Il vescovo Brancaccio, ancora era in vita Francesca, dovette nominare un cappellano permanente per soddisfare i bisogni spirituali dei numerosissimi pellegrini. Dopo la scomparsa di Francesca il Brancaccio (divenuto Cardinale) dovette provvedere alla custodia del santuario ed invitò a risiedervi alcuni oblati ed un sacerdote cappellano, con una prebenda di 60 scudi annui per l’espletamento dei divini uffici. I Fratelli Oblati chiesero al Comune la concessione di un poco di macchia per potervi far vigna et horto per servitio loro, ma come anche di poter falciare qualche laguna in detta bandita della Riserva per servitio di una bestiola della chiesa. Tale petizione venne inserita nell’ordine del giorno della seduta consiliare del 31 maggio 1682. Il Gonfaloniere Piergiovanni Pocci ed i consiglieri Marco Pocci, Pietro Gioia e Pierpaolo Giannotti la fecero approvare concedendo agli Oblati tre rubbia di macchia in una zona che non ostacolasse il libero pascolo del bestiame brado, tenendo conto anche dell’abbeveratoio posto in fondo alla valle del fosso Caliano.
Il santuario prosperava, ma nei primi anni del Settecento si resero necessari alcuni restauri alla chiesa; li finanziò nel 1703 il canonico Bartolomeo Bonsignori, nobile toscanese, noto anche per altre opere di beneficenza.
Non conosciamo i tipi di interventi finanziati dal canonico Bonsignori ma leggiamo la descrizione della facciata della chiesa e della piazza antistante in un documento del 1748. La facciata terminava in alto a timpano triangolare con una grande croce di ferro; ai due lati si corrispondevano due colonne arricciate ed incollate; la piazza quadrilatera, delimitata da un muretto a secco era selciata per un tratto davanti all’ingresso. All’esterno vi era inoltre il campanile. Per quanto riguarda l’interno sappiamo solo che vi erano anche due altari laterali, uno dedicato al SS. Crocifisso, l’altro a san Nicola.
Un lungo e ricco inventario di arredi sacri del 1741 ci fa dedurre quanto dovesse essere attiva la vita del Santuario e quanto numerose fossero le sacre funzioni che quotidianamente si celebravano. Il Vescovo cardinale Andrea Santacroce nominava nell’estate del 1704 un secondo cappellano, oltre a quello permanente, per celebrare la santa messa nei giorni festivi, il sabato e in tutte le festività della Madonna. Per tale servizio suppletivo gli venne assegnata una prebenda costituita da un legato istituito dal canonico don Scipioni Buffi, defunto da pochi anni.
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