di Mauro Loreti
Nel 1854 Secondiano Campanari nel libro “Tuscania e i suoi monumenti” scrisse anche della chiesa di Santa Maria della Rosa : “… dirò della tavola dell’altare maggiore, dove teste assai belle d’aria siccome nella figura del San Pietro e dell’Angelo che saluta la Vergine che ha profilo di viso sì delicato e devoto che fatto pare in paradiso; e in quella pure del Dio Padre che vorrai tenere figura con bellissimo rilievo condotta. E belle dirai e delicate altresì le figure piccole che fece l’artista nella predella dove sono varie storie scompartite in quadri della vita di Cristo ( S. Anna e S. Giuseppe, nascita della Madonna, presentazione al tempio di Maria, sogno di S.Giuseppe, sposalizio di S. Giuseppe e della Madonna, nascita di Gesù, circoncisione di Gesù, Adorazione dei magi, fuga in Egitto, Gesù disputa con i dottori) … voglio dire di Giulio Perino d’Amelia … il quale fu autore del quadro di cui andiamo parlando. … nel libro di memorie e ricordi della Compagnia de’ disciplinati, siccome prima chiamavasi questa del Gonfalone o della maestà della Rosa” si legge : “Instrumentum anno 1581 nel giorno 30 di maggio Iulius Perinus de Amelia pictor a Venerabile Societate disciplinatorum Civitatis Tuscanelle scuta ducentum quinquaginta quinque monete in quibus eadem Societas exteterat debitrix pro mercede operis ancona (le immagini sacre dipinte su una tavola) facta per ipsum magistrum Iulium in ecclesia dicte Societatis nuncupata (chiamata) Diva Ecclesia de Rosa in altari magno…”, nella somma erano previsto anche il pagamento fatto dai camerari Achille Tomassini di Toscanella e Gerolamo Benedetti di scudi quarantadue a Nicola Cenci di Visso, fabro lignario che costruì la tavola. L’atto fu redatto a Toscanella presenti i testimoni Giulio Michel’Angelo di Camerino e Gregorio di Visso. Il notaio pubblico con l’autorità apostolica fu Romolo Mammocci . La confraternita dei Disciplinati era per il pentimento e la penitenza dei fedeli di fronte alle loro debolezze ed ai loro peccati. I pellegrini chiamati i Bianchi con le loro vesti candide davano vita a pellegrinaggi scalzi e con la croce amaranto sulla schiena per gli uomini e sulla testa per le donne. I penitenti effettuavano i loro viaggi “de civitate in civitatem” e “per civitates et villas et castella” ed anche a Roma. Vi partecipavano i nobili ed i popolari su due file, cantavano e pregavano invocando la Madonna della Misericordia. In certi giorni prestabiliti digiunavano. Scrisse Pericle Scriboni :” Alle pareti della chiesa erano appese delle discipline di cuoio le quali servivano ai membri della confraternita per fustigarsi. Quando tutti erano convenuti, si chiudeva la porta, la chiesa era illuminata dalla luce delle candele. … Il cappellano esponeva ai presenti argomenti appropriati e al termine si smorzava una candela e i fedeli, per penitenza, con la disciplina si battevano il corpo.” Era la forma più diffusa e meglio caratterizzata del laicato cattolico italiano. Seguivano la croce predicando la pace e cantando anche lo Stabat Mater, il canto che ricorda i patimenti subiti dalla Madonna per il martirio e la morte del Figlio. Nel 1883 il canonico tuscanese Giuseppe Di Lorenzo scrisse : “Pittura in tavola nella Chiesa di S. Maria della Rosa. Nel maggiore altare della chiesa di S. Maria Liberatrice detta della Rosa fabbricata nel secolo decimo sesto … è una tavola dipinta a fondo d’oro somigliantissima, meno alcune figure, alla pittura dell’altar maggiore della chiesa del Riposo (che fu dipinto dal maestro Pellegrino Munari di Modena). L’identità del disegno si riscontra negli ornati dei pilastri e dei cornicioni, nei soggetti stessi delle figure, e nella predella dove in dieci partimenti è riprodotta la vita di nostra Signora; nella quale pittura si vedono le figure dell’eterno Padre, … dell’Angelo (Gabriele) che saluta la Vergine, e degli ornati.” Oggi non possiamo più ammirare i santi martiri Secondiano, Veriano e Marcelliano, la Madonna Assunta in cielo, San Pietro e San Paolo perché nel 1994 furono furtivamente asportati. Il Comando Carabinieri Tutela patrimonio Culturale sta facendo le ricerche dell’opera trafugata, nella sua opera quotidiana nel contrastare il traffico illecito di opere d’arte. Scrisse il Comando: “ Quanto trafugato non viene considerato perduto, ma solamente tenuto in ostaggio da chi svolge o si avvale di un’attività criminosa, che può essere validamente contrastata attraverso la consultazione del Bollettino, non solo da parte delle Forze dell’Ordine italiane e delle altre Nazioni, ma anche e soprattutto da parte degli addetti ai lavori, dei mercanti d’arte, degli antiquari e di tutti i cittadini.”