Re 17,10-16; Salmo 145 (146); Ebrei 9,24-28; Marco 12,38-44
La grande apostasia e la venuta del Cristo Redentore
1. La ‘grande apostasia’ dell’Apocalisse non è l’abbandono di un ‘Credo’, di una dottrina: è il rifiuto, nemmeno detto, della Verità ed è la scelta, come proprio dio, del denaro come principio vitale. È compromettere il proprio essere e valutarlo soltanto dalla capacità di accumulo del disvalore denaro. È usare Dio, ed a Lui rivolgersi, come mezzo efficace per ottenere: denaro, possesso, potere.
«Guardatevi dagli scribi» che «divorano le case delle vedove, dicono lunghe preghiere» aspirano, non alla Verità, ma al «farsi vedere dalla gente»: farisei, dottori della Legge odierni, non solo da quelli di Palestina di 2000 anni fa.
Gesù Cristo non si fece chiamare ‘Santità, Eminenza, Eccellenza, Don’. Non volle neppure esser chiamato «buono». Accettava ‘Maestro’: non imbonitore, ammaestratore. Rendeva e rende ‘maestro’ chi lo segue.
2. Condizione perché la venuta liberatrice del Cristo Redentore accada è: «Non temere»; ed è: «Va’ a fare come hai detto». Ciò che si dice, divenga opera perché «la fede senza le opere è morta».
Io non ho nulla! E’ vero! Hai, però, più di me: «Prima prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio».
Parole ed opere sono necessarie perché «La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra».
Tutto questo contrasta con i criteri di vita attuali, ma «Cristo è entrato in un santuario, fatto non da mani d’uomo, per comparire al cospetto di Dio in nostro favore».
«Nella pienezza dei tempi», ed è questa che viviamo, «Egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso». Gesù Cristo, con la cooperazione dei buoni, «apparirà, ora, senza alcuna relazione con il peccato a coloro che l’aspettano per la salvezza».
Come comportarsi per essere coerenti con Gesù Cristo? Il Vangelo ne fa esempio: «Venuta una vedova povera, gettò nel tesoro del Tempio due monetine». Non si vantò: economicamente aveva donato quasi nulla.
Io mi vanto per ciò che ho ‘fatto per il Signore’? Come se il Creatore avesse bisogno di te per operare. Ti chiama, è vero, ma non in suo aiuto. Non ha bisogno di te. Ti chiama per te stesso: tu possa estrarre, dal tuo intimo, ogni valore. Cosa hai che sia tuo? Una Terra, possessi, denaro, armi, onori e riverenze: il tuo vantarti? Di che ti vanti, che non ti sia stato donato?
«La vedova», questa vedova, non aveva più nulla, non aveva mai avuto nulla, se non un marito che le era venuto troppo presto a mancare; non vantava se stessa e donò «tutto quello che aveva; tutto quanto aveva per vivere». Era «così povera», eppure «ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri».
«Tutti infatti hanno gettato parte del loro ‘superfluo’». Luca 11, 41: «Quod superest date pauperibus». La traduzione “Date in elemosina quello che vi avanza” è un errore grossolano: cerca di giustificare ogni egoismo.
Leggere «Quod super est date pauperibus» è necessario: la prima traduzione di tutta la Bibbia in italiano, traduce: «Date piuttosto in elemosina quello che avete dentro ed ecco che tutto sarà puro per voi». La traduzione CEI, attuale, traduce: «Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi, tutto sarà puro».
Non serve vergognarsi davanti a Dio ed all’uomo a causa del non aver il coraggio di questa vedova povera. Non serve. Occorre soltanto decidere: qual è il mio Dio? Chi sono io davanti a Lui? Chi è il Figlio del Padre davanti a me?
Quando giungerà lo sposo, saremo pronti davanti a Lui per partecipare alla Cena della Festa.
(didon)