La storia della Chiesa di S. Giacomo
Nella elezione del quartiere di Poggio a luogo dell’aristocrazia tuscanese del sec. XVI, non poteva mancare una chiesa ad esaudirne le istanze religiose. Così la vecchia chiesa San Giacomo, piccola e vecchia, fu negli anni tra il 1566 e il 1572 completamente rifatta per volere del nuovo vescovo Giovan Francesco de Gambara. Nel 1572 ospitò il Capitolo; più tardi, nel 1588 anche il Vescovato fino al 1653 e da allora fu cattedrale. Non sappiamo bene come il nuovo duomo era all’interno, ma sappiamo come era la facciata, unica superstite degli energici restauri dei primi del ‘700 che la vollero ancora più bella e barocca. Nel secolo dei Lumi gli fecero il campanile e la cupola, la stuccarono, la indorarono e la arricchirono di suppellettili. Solo la facciata rimase sobria di un’estetica quasi rinascimentale che, pur annunciando nelle terminazioni e nei portali le curvosità successive, richiama nel chiaroscuro tra lesene, cornici e parete la moda delle forme geometriche toscane. Il finestrone e i tre portali rimandano ad una annunciata grandiosità interna, realizzata però solo nello sfarzo, oggi velato dal candore bianco dei recenti restauri. Sotto le pesanti navate interne rimangono molti dei tesori della chiesa. A sinistra, oltre l’ingresso alla sacrestia coi dipinti dei vescovi di Tuscania, si trova un pregevole tabernacolo sacramentale in marmo bianco di Isaia da Pisa, della metà del XV secolo; venne portato qui dalla antica abbazia di San Giusto a conservare gli oli santi.
Nella navata a destra su una parete sono murate sei formelle di marmo con figure di santi scolpite a rilievo entro nicchie e placcate in oro. Opere di alta qualità eseguite anch’esse nella seconda metà del XV secolo da Isaia da Pisa. Provengono, come il tabernacolo, da San Giusto. I santi sono San Vito, Santa Monica, San Girolamo, Sant’Agostino, San Gregorio Magno e San Leonardo. I marmi dovevano far parte di un grande dossale d’altare.
Nella cappella della stessa navata sono conservati dipinti su tavola e tela di diversa provenienza ed età. In particolare un bel polittico, di scuola senese del XIV secolo di Andrea di Bartolo, proveniente dalla chiesa di San Francesco sul quale sono raffigurati: al centro una Madonna con Bambino ai cui piedi è messere Loccio Toscanese (committente dell’opera) a sinistra San Francesco e San Pietro; a destra San Paolo e San Luigi: in alto due busti di San Giuseppe e San Tommaso d’Aquino. Altra pregevole opera è un trittico a due facce di Francesco d’Antonio detto il Balletta, della prima metà del XV secolo, raffigurante il redentore benedicente tra la Madonna e San Giovanni Battista, l’Agnello pasquale nella cuspide e sul retro una Madonna orante tra San Giovanni Battista e Santa Cristina. L’opera ritardataria e di gusto gotico-cortese, testimonia, nonostante i contatti, quanto i canoni artistici in voga nel viterbese fossero arcaici. D’altra parte tali ed altre opere danno l’idea della vitalità di Tuscania alla fine del medioevo e dei contatti umbro-toscani che la città manteneva pur gravitando con Viterbo su Roma.
La Diocesi di Tuscania è tra le più antiche della Tuscia. A parte la tradizione locale, che fa risalire i primi vescovi tuscanesi ai tempi apostolici, la loro presenza nei sinodi e nei concili è documentata dal VI secolo in poi, quando la prima cattedrale era Santa Maria Maggiore. Per difendersi dalle incursioni saracene, intorno al secolo VIII la sede vescovile fu obbligata a trasferirsi sul vicino colle presso la chiesa di San Pietro, che divenne la nuova cattedrale.
Troppo note sono queste due antichissime chiese per spenderci sopra altre parole; basterà semplicemente averle ricordate. La crisi del XIV secolo produsse i suoi effetti negativi anche a Tuscania e la contrada Civita incominciò a spopolarsi; la cerchia muraria venne ristretta e la cattedrale di san Pietro si trovò isolata dal Centro Storico. Ancora un paio di secoli e anche il vescovo con il capitolo trasferirono la cattedrale entro la nuova cerchia muraria.
Alla fine del Quattrocento spesso fungeva da cattedrale la chiesa di Santa Maria della Rosa, finché il vescovo Card. Gianfrancesco de Gambara (1566-1576) decise di trasferire definitivamente la cattedrale presso la collegiata di San Giacomo Maggiore. Nel 1572 iniziarono i lavori di ristrutturazione, che trasformarono la chiesa romanica a tre navate in forma tardo rinascimentale e ormai barocche.
I lavori si protrassero per qualche anno e il successore, l’arcivescovo Carlo Montigli (1576-1594) la inaugurò con una semplice benedizione, il 14 gennaio 1590.
La nuova cattedrale di San Giacomo venne consacrata 32 anni dopo dal vescovo Card. Tiberio Muti (1611-1636) il I° marzo 1622.; un’epigrafe ora collocata all’inizio della navata di destra ricorda quell’evento.
Oltre all’altare maggiore dedicato a San Giacomo la chiesa presentava nella navata di destra tre altari (SS. Gerolamo e Biagio, Immacolata Concezione, Santo Crocifisso) con in fondo la cappella dei SS. Giusto e Giuliano; nella navata di sinistra tre altari (S. Michele Arcangelo, la Madonna di Loreto, Madonna della Sanità) con in fondo la cappella della Madonna Costantinopolitana.
Nel 1753, a spese del Comune, si aprì una nuova cappella nella navata di sinistra dove era la cappella della Madonna della Sanità; l’amministrazione comunale voleva quella cappella per accogliervi degnamente le ossa dei SS. Martiri protettori della città.
Nel 1783 i lavori della cappella terminarono con la realizzazione delle tre tele del pittore Nicola Bonvicini, rappresentanti l’esilio, il processo e la gloria dei tre SS. Martiri. Ma la cappella fu dedicata al SS Sacramento e le venerate ossa dovettero attendere ancora 200 anni prima di esservi trasportate nel 1983 per iniziativa privata dell’allora parroco don Domenico Zannetti.
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